Nel 1999, una vicenda interna al team Arrows è passata alla storia come una delle truffe più clamorose nella storia della Formula 1. Chi era davvero il principe nigeriano Ibrahim Ado Malik?
Qualche mese fa siamo andati alla scoperta dei primi movimentati anni di Tom Walkinshaw al timone del team Arrows e di come i suoi sogni di gloria, tra cui quello di realizzare un motore vincente fatto in casa, fossero naufragati miseramente alla fine del 1999. (Puoi leggere l’articolo cliccando qui)
Ma oggi facciamo un piccolo passo indietro per tornare alla fine del 1998. Si è da poco conclusa una stagione non facile per la Arrows: la squadra inglese ha chiuso al settimo posto nel costruttori con soli 6 punti.
La bellissima A19 progettata da John Barnard ha deluso le aspettative più per problemi di affidabilità legati al propulsore che per deficit aerodinamico.
Infatti, dopo aver deciso di diventare un costruttore a tutti gli effetti già alla fine del 1997, Tom Walkinshaw, stanco delle continue promesse disattese da parte della Yamaha, decise di costruirsi il propulsore in casa acquistando la Hart Engineering da cui nacque così il primo propulsore made in Arrows.
Sfortunatamente, il V10 su cui Tom e i suoi avevano riposto tante aspettative, si rivelò un disastro tra mancanza di potenza e inaffidabilità cronica.
E se dover fare i conti con una stagione deludente non fosse di per sè già abbastanza gravoso, ecco che ulteriori nuvole stavano iniziando ad addensarsi fuori dalla fabbrica Arrows di Leafield.
La smania di Walkinshaw di essere indipendente, aveva sì eliminato le spese per acquistare i motori da un terzo, ma aveva alzato a livelli spropositati le spese, tra acquisto della Hart Engineering e costi di gestione e manutenzione dei propulsori. Morale della storia? La Arrows chiuse il 1998 con un pesante indebitamento e i conti in rosso di parecchi milioni.
Ma le brutte notizie non erano finite qui. Nel giro di poche settimane il team si ritrovò a fare i conti con varie perdite non preventivate.
Il primo a salutare la compagnia fu John Barnard che fece i bagagli in direzione Prost, stanco come era di vedere le vetture da lui disegnate martoriate dalle esplosioni del V10 inglese.
Subito dopo, lo seguirono i piloti Mika Salo e Pedro Diniz.
Il finlandese, arrivato a fine 1997 dalla Tyrrell, preferì accettare l’offerta della BAR per fare da terzo pilota e collaudatore, mentre il brasiliano, deluso dopo due anni caratterizzati da più ritiri per noie meccaniche che da gioie personali, decise di portare i soldi dei suoi sponsor, tra cui Parmalat, in dote alla Sauber.
E visto che piove sempre sul bagnato, Walkinshaw si ritrovò a fare i conti con l’abbandono da parte degli sponsor principali, Danka e Zepter.
Sinistri scricchiolii provenivano da Leafield e in molti si stavano già preparando a recitare il requiem per il team britannico.
Ma in casa Arrows dimostrarono una certa perseveranza e invece di disperarsi, decisero di rimboccarsi le maniche cercando di raddrizzare una nave che stava affondando.
Per prima cosa Walkinshaw decise di promuovere il vice di Barnard, Mike Coughlan, al ruolo di direttore tecnico, incaricandolo di progettare la vettura per il 1999, la A20, una diretta evoluzione della vettura dell’anno precedente sempre equipaggiata dal propulsore fatto in casa.
Successivamente, si assicurò di mettere sotto contratto piloti che portassero in dote qualche sponsor.
La scelta ricadde sullo spagnolo Pedro De La Rosa, sostenuto dalla Repsol, e sul giapponese Toranosuke Takagi, finanziato da vari sponsor provenienti dalla terra del Sol Levante tra cui l’azienda di modellini Tamiya.
A questo punto restava solo da trovare un finanziatore che permettesse al team di aggiustare i propri disastrati conti. Ed è qui che fa la sua comparsa, finalmente, il protagonista di questa storia: il principe nigeriano Ibrahim Ado Malik.
Malik, riuscì ad ottenere un appuntamento con Tom Walkinshaw in cui avrebbe delineato al team manager inglese la sua proposta e i suoi piani per la squadra. In quell’appuntamento di fine 1998 il nostro protagonista si presentò come un principe nigeriano proveniente da una delle circa 70 famiglie reali disseminate su tutto il territorio del paese africano e affermò di essere stato educato privatamente in Inghilterra, anche se nessuno ha mai avuto occasione di verificarlo.
Egli affermava di aver investito parte del patrimonio di famiglia in vari business di successo tra cui una azienda di telecomunicazioni e una azienda di estrazione mineraria, entrambe molto attive nel continente africano.
Ma, cosa più importante, aveva deciso di investire una parte della sua fortuna in un team di Formula 1, avendo sempre sognato di possederne uno. Senza troppi giri di parole il nostro principe avanzò la seguente proposta: 125 milioni di dollari per acquistare una parte del team, si vocifera di una percentuale di quote compresa tra il 15 e il 30% (le reali cifre non vennero mai a galla), così da diventare socio di Walkinshaw e salvare il team Arrows dalle acque agitate in cui si trovava.
Per dimostrare la serietà del progetto, Malik riuscì a convincere persino una banca rinomata come Morgan Greenfell a finanziare il progetto e alla fine del 1998 venne annunciato il raggiungimento di un accordo tra il nostro principe e Walkinshaw. A partire dal 1999 Ibrahim Ado Malik sarebbe diventato uno dei soci del team Arrows. E così, qualche mese dopo, in occasione della presentazione della nuova vettura per il 1999, Walkinshaw colse la palla al balzo per presentare il suo nuovo socio proveniente dall’Africa.
Davanti a una platea di giornalisti piuttosto incuriosita il nostro principe illustrò i punti salienti del suo accordo col team inglese, il piano di investimenti previsto e soprattutto svelò di come fosse sempre stato un appassionato di motorsport, un amante delle Lamborghini, e soprattutto di come si dilettasse, ogni tanto, a partecipare a delle gare per vetture GT, arrivando ad affermare di aver preso parte una volta alla 24 ore di Le Mans.
Ora, dopo una affermazione del genere, ai presenti in sala sarebbero duvuti iniziare a suonare vari campanelli d’allarme, perchè tra gli anni ’80 e ’90 se un pilota africano, per di più un principe, avesse preso parte alla competizione endurance più famosa al mondo, qualcuno se ne sarebbe dovuto accorgere, no? Ma a quanto pare tutti erano rimasti ammaliati dal fascino del buon Malik e interpretarono la quantomeno dubbia affermazione del principe nel senso che avesse partecipato in qualità di sponsor per qualche vettura GT.
Ma il meglio doveva ancora venire. Nel momento in cui vennero sollevati i veli dalla A20 tutti rimasero a bocca aperta: la vettura era una evoluzione della bellissima A19, e come anticipato sarebbe stata ancora spinta dal motore made in Arrows, ma la vera particolarità stava nella livrea destinata a consegnare la vettura al mito e folklore della F1: la parte anteriore nell’arancione brillante Repsol e la parte posteriore in un bellissimo nero riportante le decalcomanie di una specie di conto alla rovescia, riguardante uno sponsor, che sarebbe stato svelato successivamente, assicurò con l’ennesimo sorriso accattivante il nostro fantomatico principe.
La stagione non iniziò neanche troppo male con De La Rosa subito a punti in Australia con un bel sesto posto al suo debutto e Takagi capace di concludere le prime due gare del mondiale in top 10 e appena fuori dai punti. Sembrava che l’arrivo di Malik avesse effettivamente portato un po’ di serenità e stabilità nel team e che un nuovo roseo futuro fosse a portata di mano.
A Imola, in occasione della terza gara del mondiale, Malik e Walkinshaw organizzarono una nuova conferenza stampa per presentare il fantomatico nuovo sponsor, e ancora una volta il principe, che fin dalle sue prime uscite col team si era segnalato come una delle figure più affascinanti e gioviali del paddock, fece in modo di attirare parecchia attenzione su di sè.
Il nobile nigeriano presentò alla stampa la sua nuova iniziativa commerciale: la T-Minus. L’idea del nostro principe era piuttosto semplice: usare il team Arrows e la copertura mediatica derivante dal circus per lanciare una nuova compagnia che avrebbe operato nel campo degli energy drink e soprattutto nel rebranding di marchi di successo, affermando di sognare di vedere un giorno capi di vestiario e addirittura vetture e moto di lusso, come Lamborghini e Ducati adornate con il simbolo della T-Minus.
E qui, nonostante le ottime premesse, iniziamo ad avere le prime avvisaglie della tempesta in arrivo. I mesi passarono, e dei soldi promessi non se ne era vista l’ombra se non una piccola parte, e nonostante il principe Malik continuasse a godersi la bella vita che conduceva all’interno del paddock in molti iniziarono a nutrire parecchi dubbi sulla serietà e affidabilità del nuovo socio in affari di Walkinshaw. Come se non bastasse, anche le prestazioni in pista iniziarono a peggiorare sensibilmente. La A20 si dimostrò essere tra le vetture più lente in pista e martoriata da una inaffidabilità diabolica, provocata ancora una volta, dal motore made in Arrows.
Alla vigilia del GP di Gran Bretagna a Silverstone la stampa inglese iniziò a sollevare seri dubbi sulla figura del principe Malik e molti notarono di come di lattine di T-Minus non se ne trovassero in commercio e soprattutto di come tutta l’operazione apparisse sempre di più come una scatola vuota. Nonostante le rassicurazioni provenienti sia da Walkinshaw che da Malik era chiaro che la situazione stesse precipitando.
E improvvisamente, verso settembre 1999, così come era comparso Ibrahim Ado Malik, sparì nel nulla. La data non era casuale. Alla fine di settembre il principe avrebbe dovuto pagare l’acconto per acquistare le quote del team come da accordo con Walkinshaw, ma ormai era chiaro che non lo avrebbe fatto e così facendo aggravò ulteriormente la già precaria situazione finanziaria del team, e provocò una dura battaglia legale con la Morgan Greenfell che si sentì danneggiata dal modus operandi di Walkinshaw e Malik. La stagione si chiuse al decimo posto nel costruttori e con un solo punto conquistato e con una lista di debiti sempre più lunga.
Il nostro “eroe” era riuscito a truffare tutto il mondo dorato dei GP e ad ottenere per qualche mese una copertura mediatica senza precedenti, ingannando tutti, Ecclestone, compreso. La truffa di Malik e il mancato investimento promesso misero in ginocchio le finanze della Arrows, la quale nonostante fosse riuscita ad assicurarsi la sponsorizzazione da parte del colosso delle telecomunicazioni Orange a partire dal 2000, fu schiacciata sempre di più dai debiti prima dell’inevitabile fallimento a metà 2002, segnando così la fine della storia del team inglese e dei sogni di gloria di Walkinshaw.
E cosa ne fu di Malik? Circa 10 anni dopo dal suo exploit in F1, il principe si offrì di finanziare il team di un giovane pilota della Nascar, Robert Richardson Jr, promettendo come al solito tantissimo e mantenendo nulla. Anche in questo caso il principe sparì, sottraendo quasi mezzo milione di dollari al team di Richardson, solo che questa volta venne arrestato con l’accusa di truffa e appropriazione indebita e nonostante parte delle accuse venne rigettata, il buon Malik si fece lo stesso qualche mese di carcere in Texas e venne rilasciato solo dopo il pagamento di una cauzione di 35000$.
Da allora Malik è tornato in Nigeria e da lì non si è più mosso, ma il suo spirito imprenditoriale non si è certo spento avendo da qualche anno avviato varie imprese impegnate nel campo delle energie pulite e rinnovabili che operano in vari paesi africani… o almeno così dice lui.Anche se sono passati 21 anni la vicenda della T-minus e del fantomatico principe Malik lascia ancora oggi parecchi quesiti irrisolti: come riuscì a ingannare tutto il mondo della Formula 1 e una banca tra le più importanti d’Inghilterra?
Davvero Walkinshaw, forse spinto dalla necessità e dai debiti, si fidò di questo oscuro benefattore? Oppure sapeva benissimo chi era? Ma soprattutto chi è Ibrahim Ado Malik? Un megalomane? Un truffatore? Un uomo in cerca di visibilità? Oppure più semplicemente l’ennesimo losco figuro attirato dal mondo dorato dei GP? Probabilmente la risposta non la sapremo mai, ma forse è anche questo il bello di certe storie riguardanti il mondo della F1, cioè che ognuno di noi può interpretarle come meglio crede.
Bartolomeo Cianciolo
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