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Ayrton Senna, Érik Comas e Imola 1994

La riservata amicizia tra Ayrton Senna e Érik Comas, durata appena due anni, è stata connessa da un destino beffardo, quasi ai confini della realtà

Fonte: McLaren

Secondo molti il pilota migliore di sempre è l’indiscusso mago della pioggia, Ayrton Senna. L’introverso campione sudamericano è entrato nel mito della Formula 1 in maniera esemplare, non solo agonisticamente. Da una parte il suo spiccato talento, unito a una determinazione implacabile, gli hanno permesso di vincere tre titoli mondiali; dall’altra la coscienza delle necessità del suo Brasile lo stimolavano a devolvere in beneficenza parte dei suoi profitti. Tutto ciò, molto spesso nella massima riservatezza. Perché, come egli stesso affermava, «respiriamo tutti la stessa aria, bisogna dare a tutti una possibilità».

La discreta amicizia tra Érik Comas e Ayrton Senna inizia nel 1992, l’annata d’oro della Williams e di Nigel Mansell, campione del mondo. Il dodicesimo appuntamento della stagione si svolge sul tracciato belga di Spa, che vede Michael Schumacher vincere il suo primo Gran Premio. La prima sessione di prove libere però, è segnata dall’ incidente di Comas, ventinovenne francese alla sua seconda annata in Formula 1. Il pilota della Ligier perde i sensi dopo il violento impatto contro le barriere che precedono il Blanchimont.

Il suo piede rimane schiacciato sull’acceleratore, con il motore rimasto acceso e in surriscaldamento. La vettura rischia così la combustione. In quel momento transita la McLaren del campione del mondo in carica il quale, accorgendosi della situazione, accosta e raggiunge a piedi la monoposto semi distrutta. Rischiando di essere investito, spegne il motore della Ligier e raddrizza il casco del francese in una posizione più naturale. Questo gesto a dir poco eroico consente ai sanitari di estrarre Comas del veicolo e soccorrerlo. In un periodo in cui nel motorsport il rischio di subire gravi infortuni era molto più alto di quello attuale, il fuoriclasse di San Paolo, con consapevolezza e umanità, salva letteralmente la vita a Éric Comas.

A fine stagione, Comas totalizzerà solo quattro punti, mentre Senna non va oltre la quarta posizione a causa dei numerosi ritiri. L’anno successivo il francese perfeziona il suo trasferimento alla scuderia Larrousse, mentre il brasiliano rimane in McLaren raggiungendo la seconda posizione in campionato. Le strade dei due amici si incontreranno ancora un’ultima volta nel 1994. La nuova avventura di Senna in Williams inizia nel peggiore dei modi: da favorito per il titolo, è costretto a due ritiri nei primi due GP e il suo nome è in fondo alla classifica. Nella seconda gara della stagione, il GP del Pacifico, Érik Comas conquista il primo punto del 1994

Fonte: GPToday

Il circuito di Imola si preannuncia favorevole a Michael Schumacher, vincitore delle prime due gare dell’anno. Il fine settimana si trasforma invece in un susseguirsi di drammatici eventi, già dalle prove libere. Alla Variante Bassa la monoposto Rubens Barrichello prende il volo e si ribalta.

Il brasiliano, nonostante qualche ferita, tornerà nel paddock già l’indomani. Egli stesso ricorderà in seguito: «La prima faccia che ho visto quando mi sono risvegliato è stata quella di Ayrton. Era venuto al centro medico per tranquillizzarmi, ma piangeva; ho avuto l’impressione che si sentisse come se il mio incidente fosse accaduto a lui». In Senna è ancora vivo il ricordo del drammatico schianto di Martin Donnelly, avvenuto quattro anni prima a Jerez, che lo aveva spinto a informarsi il più possibile sul primo soccorso in caso di incidenti in gara.

Lo spavento del venerdì si trasforma in una vera angoscia dopo sole ventiquattro ore. Durante le qualifiche, la Simtek di Roland Ratzenberger si scontra violentemente contro il muretto della curva intitolata a Gilles Villeneuve. Muore poco più tardi all’ospedale di Bologna, lasciando turbati gli altri piloti sulle condizioni del tracciato; uno su tutti Senna, che si reca personalmente sul luogo della collisione. Sid Watkins, capo del team medico di pista, gli consiglia di non correre il giorno seguente, invitandolo a pescare. «Sei stato già campione del mondo tre volte, sei il più veloce. Cos’altro devi fare?». Ma un campione non può accettare, deve vincere, la parola “altro” pronunciata dal dottore britannico gli risuona nella testa come un ulteriore stimolo. «Sid, ci sono alcune cose che non possiamo controllare. Non posso permettermi di smettere, devo andare avanti».

È domenica primo maggio 1994, il giorno del gran premio di San Marino. Senna parte dalla pole position affiancato da Schumacher, ma al via, quasi immediatamente, le bandiere gialle sventolano ovunque. L’impatto tra la Benetton di JJ Lehto, con il motore spento, e la Lotus di Pedro Lamy riempie di detriti il rettilineo parallelo alla pit-lane. Alcune schegge raggiungono anche alcune persone del pubblico, ferendone una decina.

Alla ripartenza dopo il regime di safety car le posizioni rimangono invariate, ma, al settimo giro, il piantone dello sterzo della Williams di Ayrton Senna cede. Come per Ratzenberger, il pilota della Williams resta immobile, con la testa appoggiata al bordo dell’abitacolo. I telecronisti di tutto il mondo reputano l’impatto molto violento, ma non fatale; però un uomo in Argentina, a migliaia di chilometri di distanza da Imola, percepisce qualcosa di diverso. Juan Manuel Fangio, 82 anni, spegne la televisione senza aver bisogno di vedere le immagini più di una volta; in seguito dirà: «Sapevo che era morto». I soccorsi sono repentini e viene fatto atterrare l’elisoccorso in pista, ma le condizioni del brasiliano sono evidentemente gravissime.

Il tre volte campione del mondo muore qualche ora dopo presso l’ospedale di Bologna, lasciando un vuoto incolmabile nel mondo della Formula 1. Gli infermieri scoprono una bandiera austriaca ammainata nascosta nella sua manica della tuta da gara. L’avrebbe esposta nel giro della vittoria per ricordare Roland Ratzenberger, scomparso qualche ora prima durante le qualifiche.

Nel 1994 l’utilizzo della safety car è oggetto di discussione e lamentele tra i piloti perché l’automobile utilizzata è troppo lenta e non permette il regolare mantenimento in temperatura degli pneumatici. Nei primi lenti passaggi del GP in regime di safety car per l’incidente al via, Érik Comas sulla sua Larrousse è costretto ai box per alcune riparazioni.

Le operazioni però, sono molto più lunghe del previsto e il francese rientra in pista nella confusione più totale. Sono infatti già esposte le bandiere rosse causate dall’incidente di Senna. Il team e lo stesso commissario presente nella corsia dei box acconsentono erroneamente la ripartenza della Larrousse, che raggiunge la curva del Tamburello, occupata dall’ambulanza, i sanitari e l’elicottero, a velocità sostenuta.

Érik Comas, ormai a velocità di gara, si vede la strada sbarrata da medici ed elicottero; riesce appena in tempo a frenare senza travolgere nessuno. Per uno scherzo del destino questa volta è lui dover scendere dalla sua monoposto, ma in questa circostanza non può nulla. Nell’assoluto silenzio della folla trova, steso su una barella, colui al quale deve la vita, circondato dai soccorritori, esanime.

L’agonia di Ayrton Senna, vista così da vicino, lo segna a tal punto dal ritirarsi dalla Formula 1 a fine stagione. Non ne parlerà per più di dieci anni. Dirà in seguito: «Se sono vivo è solo grazie a lui, se non avesse spento la mia Ligier [a Spa nel 1992] avrei preso fuoco con più di 150 litri di carburante. Essere l’ultimo ad averlo visto al Tamburello è stato uno shock da cui non mi sono mai ripreso. Da allora odio la Formula 1».

Giovanni Alessandrini

Studente, Pescara.

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