Nel corso del 1998 iniziano a circolare con una certa insistenza, voci secondo le quali la Honda stesse valutando piuttosto seriamente di rientrare nel circus della Formula 1 in qualità di costruttore e non solo come mero fornitore di motori. La notizia non è da poco. L’ultima volta che la Honda si era “sporcata le mani” in prima persona risaliva agli anni ’60, precisamente tra il 1964 e il 1968.
In quegli anni, il costruttore giapponese in poco tempo era passato dal ruolo di debuttante a quello di protagonista, ottenendo persino due successi grazie all’americano Ginther a Città del Messico nel 1965 e a John Surtees nel GP d’Italia del 1967, ottenuto però, in una vettura che montava sì un motore Honda, ma all’interno di un telaio disegnato e progettato dallo specialista britannico Lola.
Dopo gli incoraggianti risultati delle stagioni precedenti, i giapponesi decidono che i tempi sono finalmente maturi per correre e vincere in una vettura interamente Honda.
Così in vista del GP di Francia del 1968, il team nipponico introduce un’avveniristica vettura il cui telaio è fatto in fibra di magnesio. Questa soluzione permetteva grossi vantaggi per quanto riguardava il peso della vettura, ma aveva anche una letale controindicazione, come scoprirà di lì a poco, uno dei piloti.
Nelle fasi iniziali del GP che si sta disputando sul circuito di Rouen, improvvisamente, il promettente pilota francese Jo Schlesser, al volante proprio di una delle nuove Honda, perde il controllo della sua vettura e va a sbattere contro le barriere ai lati della pista.
Nell’urto, il serbatoio della benzina, ancora pieno essendo a inizio gara, si rompe inondando la macchina e pilota; in un battito di ciglia la Honda è avvolta in una enorme palla di fuoco alimentata anche dalla altissima infiammabilità del magnesio, mentre la gara prosegue in un clima surreale con le vetture che sfrecciano accanto alla Honda in fiamme.
I commissari, male equipaggiati, non riescono ad avvicinarsi a causa delle altissime temperature e Schlesser muore tra le fiamme senza che nessuno possa fare niente per salvarlo.
Il fatale incidente di Schlesser durante il GP Francia 1968
A fine gara, il compagno di Jo, Surtees, che già aveva messo in guardia il proprio i team dei rischi che un telaio del genere poteva comportare, se ne va sbattendo la porta, accusando la sua ormai ex-squadra di non averlo ascoltato e di avere sulla coscienza la morte di Schlesser. Sconvolta dall’accaduto, la Honda decide di abbandonare con effetto immediato la Formula 1.
Il costruttore nipponico resterà alla larga del circus per i successivi 15 anni. Tornerà solo nel 1983, quando in veste di motorista equipaggerà con un proprio V6 turbo il piccolo team britannico Spirit. Nessuno ancora lo sa, ma quegli umili inizi saranno le basi per i successi futuri della Honda.
Nel 1984, i motori turbo nipponici passano alla Williams e da lì sarà l’apoteosi. Nel 1987 Piquet vince il titolo a bordo di una Williams-Honda turbo. L’anno dopo invece è Senna ad imporsi su una McLaren-Honda.
Il ritorno agli aspirati nel 1989 non cambia la musica e a imporsi è nuovamente una McLaren-Honda questa volta con Prost. Infine, tra 1990 e 1991 arrivano altri due mondiali cortesia sempre di McLaren e con Senna alla guida.
Ma nel 1992 la musica cambia e le vetture del team di Dennis, equipaggiate dal propulsore nipponico non riescono a contrastare lo strapotere delle Williams-Renault di Mansell e Patrese, così, a fine stagione, la Honda, sconfitta dall’impietoso confronto in pista e piegata a causa di una fortissima recessione che ha investito l’economia nipponica opta per uscire, nuovamente, dal mondo della Formula 1.
Il programma F1 viene delegato alla Mugen, la divisione sportiva della Honda per quanto riguarda le auto, che tra 1992 e 2001 equipaggerà con i propri V10 team quali Footwork, Lotus, Ligier, Prost e Jordan raccogliendo svariati podi e 4 vittorie e sfiorando il titolo nel ’99 con Frentzen.
Insomma, nonostante l’impegno in veste semi-ufficiale e in team non certo di primissimo piano, i motori giapponesi continuano a mostrare una certa competitività .
Ma torniamo a noi.
Nel 1998, come dicevamo, la Honda inizia a prendere seriamente in considerazione l’idea di un ritorno come costruttore e rapidamente quei rumors diventano realtà , quando il costruttore giapponese decide di affidare la direzione del programma ad Harvey Postelthwaite, geniale progettista britannico con un passato in Ferrari e Tyrrell, squadra che ha lasciato dopo l’acquisto da parte della British American Tobacco.
Il compito del buon Harvey è semplice: realizzare una vettura che convinca il CDA della Honda ad avallare il rientro in Formula 1 in vista della stagione 2000.
Il geniale progettista britannico Harvey Postelthwaithe
Il progettista inglese si mette subito all’opera e in pochi mesi, grazie anche al fondamentale aiuto della Dallara per quanto riguarda l’aspetto telaistico, realizza la RA099, equipaggiata con un V10 Mugen-Honda e pneumatici Bridgestone.
Presentata alla stampa a inizio 1999, Postelthwaithe e i suoi superiori nipponici mettono subito in chiaro le cose: la 099 servirà solamente come vettura da test con cui valutare se un rientro in prima persona da parte di Honda sia possibile. Se la vettura disegnata da Postelthwaithe si dimostrerà competitiva, il progetto verrà avallato e lautamente finanziato, se dovesse essere altrimenti, il programma F1 verrà immediatamente archiviato.
Harvey realizza che lui e i suoi hanno poco tempo per convincere i vertici Honda della bontà della vettura da loro realizzata e che per raggiungere tale scopo ha bisogno di un pilota il quale sia non solo un buon collaudatore, ma anche maledettamente veloce.
A tale identikit risponde una vecchia conoscenza di Postelthwaithe: Jos Verstappen, veloce pilota olandese con cui ha già lavorato in Tyrrell nel 1997.
Dopo un rapido shake-down a Varano e i primi test in solitaria al Mugello, per il test team della Honda arriva quasi subito il momento della verità : la 099 scenderà in pista a Jerez insieme a vari team di F1 per partecipare a una sessione dei test pre-stagionali che si svolgeranno sul circuito spagnolo.
Jos Verstappen e la RA099 in azione a Jerez
Sarà la prima occasione non solo per un confronto diretto con i team e le vetture che parteciperanno al mondiale del 1999, ma anche per capire se una vettura interamente Honda possa essere competitiva. La 099 scende in pista insieme alle nuove vetture preparate da Arrows, Prost, Minardi, Stewart, Benetton, Jordan, BAR e Sauber e si rivela fin da subito veloce, competitiva e affidabile.
Nelle mani di Verstappen la vettura nipponica vola e a fine test il pilota olandese risulterà il più veloce.
Nel box Honda il buon umore è palpabile e Postelthwaithe sa che le prestazioni della sua vettura non sono passate di certo inosservate: il primo passo verso il ritorno è stato compiuto.
Nuovi rumors iniziano a circolare sul fatto che la Honda da lì a poco toglierà qualsiasi riserva e annuncerà il proprio rientro in F1 dal 2000, con una propria vettura realizzata da Postelthwaithe e Dallara con alla guida Verstappen e Salo e soprattutto con un budget superiore persino a quello della Ferrari.
Ma dal Giappone smorzano subito i facili entusiasmi provocati dagli ottimi risultati di Jerez.
Honda non farà nessuna comunicazione ufficiale riguardante un suo rientro in F1 se non dopo la seconda sessione di test di Jerez a cui parteciperanno anche Ferrari, Williams e McLaren.
Harvey e i suoi uomini continuano a lavorare per migliorare sempre di più la 099, che sempre nelle mani di Verstappen, non sfigura nemmeno alla sua seconda uscita ufficiale. Nonostante il livello generale si sia notevolmente alzato l’olandese dimostra nuovamente la bontà della vettura disegnata dal vecchio Harv e si piazza al nono posto nella classifica dei tempi mostrando nel mentre anche un buon passo gara.
Jos in azione durante i test a Jerez
Ma nonostante tutto il sospirato annuncio non giunge nemmeno questa volta.
La soluzione di questo mistero è piuttosto semplice: il CDA Honda è spaccato a metà . Da una parte il presidente Kawamoto che caldeggia con entusiasmo il rientro di Honda con un proprio team, dall’altra buona parte del consiglio, che spaventata dai costi di un impegno in veste ufficiale preferirebbe un rientro in veste di semplice motorista, all’interno di una partnership con la BAR che offrirebbe un lauto compenso pur di accaparrarsi i V10 made in Japan.
Nonostante le pressioni esercitate da Postelthwaithe, preoccupato dal fatto che inizi a mancare il tempo sufficiente per progettare una vettura in vista della stagione 2000, su Kawamoto affinché una decisione venga presa al più presto, lo stallo permane.
Nel mentre la stagione 1999 è in pieno svolgimento e nonostante le voci di un imminente annuncio di collaborazione tra BAR e Honda si facciano sempre più insistenti, la 099 continua il suo programma di test come se niente fosse.
Ma proprio durante l’ennesima sessione di test in Spagna nell’Aprile del ’99, un infarto, forse provocato dall’eccessivo stress accumulato nei mesi precedenti, stronca Harvey Postelthwaithe a soli 55 anni.
Perso il geniale progettista inglese, il progetto 099 viene messo in soffita.
La 099 rientra ai boxÂ
Il mese successivo, alla vigilia del GP di Spagna la Honda annuncia di aver raggiunto un accordo con la BAR per rientrare a partire dal 2000 nel Circus in veste di motorista.
Oggi la 099 la si può ammirare al museo Honda presso il circuito di Motegi in Giappone e osservandola non si può non cogliere un senso di magnifica incompiutezza che quella vettura sembra ancora emanare a vent’anni di distanza, pensando a ciò che poteva essere e non è mai stato.
Il sogno di Postelthwaithe e Kawamoto si realizzerà solo alla fine del 2005, quando la Honda, dopo aver acquistato le quote di maggioranza della BAR dalla British American Tobacco, annuncerà il suo rientro in veste di costruttore a partire dalla stagione 2006.
Ma questa sarà una storia per un’altra volta.